Così va la vita. La mia l’ho già vista tutta perché l’ho osservata a lungo dalla quarta dimensione. Me lo hanno insegnato a Tralfamadore, il pianeta dove costringono negli zoo le creature di altri pianeti. Conosco a memoria il mio passato, il mio presente e il mio futuro. Morirò cadendo nel mio appartamento a Manhattan il 10 aprile 2007. Basta fare un passo di lato e si finisce nella quarta dimensione. Da qui il tempo appare come una pellicola srotolata per intero, dove ogni fotogramma è unico ed eterno. “Il tempo è semplicemente”, si dice a Tralfamadore, e noi ci siamo dentro come insetti nell’ambra. L’ambra si forma quando la resina dei pini si fossilizza invece di cadere nel suo appartamento.
Kenny Penny si è fossilizzato l’altro ieri. È caduto in una pozza di fango perché aveva visto un insetto che ci affogava. Aveva deciso di salvarlo, non voleva che diventasse un fossile. Di solito gli umani non sono così generosi. Infatti sterminano migliaia di pidocchi solo per avere i capelli puliti. Kenny Penny non aveva mai i capelli puliti. Una volta aveva rinchiuso tutti i suoi pidocchi in un barattolo e li aveva liberati in campagna. Adesso Kenny è nel futuro e i nostri discendenti lo stanno interrogando per capire cosa si mangiava ai suoi tempi. Nel futuro si nutrono solo con coca-cola e sono stupiti di sapere che nel passato ci si ingolfava con tante cose diverse. Kenny beveva solo aranciata.
Non c’è da stare in pensiero per lui, non è solo. Con lui si è fossilizzata anche Mary Bat, la ragazza che gli piaceva tanto. È caduta nella pozza di fango nel tentativo di aiutare Kenny a salvare l’insetto. Aveva una colossale passione per gli insetti. Teneva in casa sua una collezione di cento terrai in cui allevava altrettante specie diverse. Spesso liberava i suoi insetti dai terrai e li lasciava passeggiare in giro, il che irritava tutti i vicini e i parenti. Aveva pochi amici. Pensava che gli insetti fossero molto più interessanti degli esseri umani. “Le formiche sono così intelligenti da schiavizzare le altre formiche”, ripeteva sempre. Il nesso tra intelligenza e schiavismo è confermato da quasi tutti i libri di storia.
Ho visto tutto questo al telegiornale stamattina. Mi stavo chiedendo se nel futuro si sarebbe ancora bevuta la coca-cola. Il servizio successivo parlò di Jamie Grind, un ragazzo scomparso dentro la televisione. Una donna in tailleur raccontava che Jamie adorava la televisione e che passava ogni ora libera a fissarla. Si alzava nel cuore della notte e senza farsi notare andava a guardare la televisione. Teneva il volume basso per non svegliare nessuno. A lui non importava di sentire i suoni. Voleva vedere le immagini, guardare come cambiavano. Gli piacevano i colori, come l’insetto che cercava i fiori ma che poi è caduto nel fango. Jamie invece è caduto nella televisione. Si è avvicinato troppo, ha toccato lo schermo ed è stato risucchiato al suo interno. Ogni tanto lo vedo sbucare dalle scenografie dei telefilm.
Cadono tutti da qualche parte e così allungano la propria esistenza. Cadere serve ad allungare la vita. Cadi dal tetto e viaggi nel tempo fino al mesozoico. Questo almeno fu il destino di Betty Gray. Due cicogne avevano fatto il nido sul camino di casa sua. Si era arrampicata fin lassù per andare a toglierlo ma mamma e papà cicogna l’avevano spinta giù a furia di beccate. Al risveglio era riversa in una poltiglia giallastra e alcuni pezzettini che sembravano cocci di ceramica le pungevano la schiena. Era caduta sopra l’uovo di un dinosauro. Mamma e papà dinosauro si erano avvicinati per annusarla e lei era svenuta dalla paura. Non le fecero alcun male. Le due creature l’avevano scambiata per uno dei loro cuccioli e se ne presero cura come poterono fino alla fine.
Anche io cadrò. Sembra che io non finisca da nessuna parte ma credo di aver guardato con poca attenzione. Proviamoci ora. Vedo il mio corpo anziano che ruzzola dalle scale, i cari che gridano, il mio cane che tuffa il muso nella ciotola e si abbuffa. Mangia sempre quando è triste o nervoso. Dopo questo evento, la mia pellicola si scurisce sempre più e diventa nera come la pece. Scruto qualche altro minuto ma il nero non schiarisce, né diventa più nero. Allora non finisco da nessuna parte. Ma paziento ancora un po’, più di quanto abbia mai fatto, ed ecco che il nero si scansa per far spazio a una macchia viola, che cresce e si gonfia fino ad assumere l’aspetto di una nuvola. La nuvola viola si agita e viene spezzata da alcuni lampi azzurri. Tutt’attorno si vede uno strano sfarfallio che sembra l’olio bollente quando sfrigola.
Si vede solo questo per qualche miliardo di anni. Ho sprecato cinque anni della mia vita solo per scorrere l’immane quantità di fotogrammi di nuvole viola e olio sfrigolante. Alla fine sono giunto all’atto successivo. C’è una particella, un’infinitesima parte di me, che viaggia nei labirinti porosi della materia. Capisco che quella particella è parte di me perché usa le stesse espressioni. Quando sbatte contro un’altra particella, grida: “Ehilà, attenzione!”, e quando passa da uno stato fisico all’altro dice: “Accidenti, sono rinato!”. In più ha i miei stessi occhiali e un paio di baffi spettinati che le solleticano il naso fatto di protoni.
La particella vola da una galassia all’altra, scorre tra le dimensioni senza obbedire a niente. Risiede per miliardi di anni al centro di un sole sconosciuto e poi trascorre secoli e secoli nel sangue di creature aliene perché le sostanze trasportate dal loro sangue la fanno ubriacare. Anche le particelle si deprimono, anche loro hanno diritto a divertirsi. Immagina cosa possa significare vagare per così tanto tempo senza agglomerarti con nessuno. Un vero inferno. Nel paradiso invece le particelle si agglomerano quanto vogliono.
La particella passa poi per un campo di battaglia e si becca qualche pallottola. Viene ricoverata nell’ospedale militare, si rimette in sesto e riparte all’avventura. Diventa capitano di mare, professoressa di storia karkeriota, cameriere d’albergo e pilota aerospaziale. Vive più vite lei di quante ne abbia potute vivere io. Forse io non sono io. Forse io sono lei e lei è me. Forse io sono solo una delle tante vite che lei ha vissuto. Sono il talamo su cui si agglomerano miliardi di particelle prima di fuggire via e non incontrarsi mai più. Poi però la particella ha incontrato di nuovo alcune delle particelle con cui si è agglomerata. Una l’ha incrociata al bivio tra i femtometri e gli attometri, ha abbassato lo sguardo e si è defilata nell’abisso della schiuma quantica.
Sono passati vent’anni da quando ho iniziato a guardare il viaggio di questa particella. Tra poco sarà il 10 aprile 2007. Avverto in me un’irresistibile voglia di cadere. La particella è finita nel buio più totale. Solo ieri mattina ne è riemersa e ha portato con sé tutta una nuova creazione, un universo dove la coca-cola è fisicamente irrealizzabile e tutti bevono aranciata. In questo universo la gente viene uccisa con il solletico sotto i piedi, una pratica che ha sterminato centinaia di civiltà. Per il resto è tutto uguale. La particella ha attraversato la storia di questo nuovo mondo e ho scoperto che le cose si ripetono, che il tempo di ognuno di noi è una videocassetta infilata in eterno nel videoregistratore di Dio.
La mia particella è arrivata fino a me ma non si è agglomerata con le altre particelle che mi compongono. Le vedo tutte, brulicanti sulla mia pelle. Il mio io del prossimo universo mi fissa attraverso la pellicola del film temporale e mi saluta perché anche lui sta guardando la stessa pellicola e conosce la quarta dimensione. La particella si riposa su una superficie bluastra per riprendersi dal lungo viaggio. È stato un colossale errore. La superficie bluastra erano le crocchette del mio cane, che nel prossimo universo saranno al sapore di mirtillo. Il cane mi vede morire e allora tuffa il muso nella ciotola e divora le crocchette e la mia particella. Oggi è il 9 aprile 2007. Non penso che cadrò domani. Voglio starmene qui seduto ancora un po’, per vedere come si libererà la mia particella dallo stomaco del mio cane.
Leonardo Albano