I 4 racconti finalisti di “Una Challenge a Suon di Parole – 2024”

Momenti di emozione, di riflessione, di protesta: una finale intensa quella di Una Challenge a Suon di Parole.

A sfidarsi a colpi di titoli, abstract, incipit e infine il racconto completo sono state le 16 squadre scelte dalla giuria della challenge, provenienti da moltissime scuole di tutto il Veneto.
Ma a spuntarla, tra i voti del pubblico, sono state:

  • 4° posto – “Viva Sparta!” – Liceo artistico statale (Treviso)
  • 3° posto – “Scientist writers” – ITIS Max Planck (Lancenigo TV)
  • 2° posto – “La 1^ declinazione” – Liceo Amedeo di Savoia Duca D’Aosta (Padova)
  • 1° posto – “Le ombre” – H-Farm international school (Roncade TV)

Bravissimi i ragazzi nella stesura degli elaborati, ma soprattutto nella lettura delle loro opere: chi preso dalla timidezza e dall’emozione del momento e chi invece trasportato dalle parole scritte nei propri testi.


4° posto – “Viva Sparta!” – Liceo artistico statale (Treviso)

TITOLO: L’uomo alla ricerca della libertà

ABSTRACT: In una cella desolata nella prigione di White Street, dove risiedono criminali di
ogni tipo tenuti in uno stato di isolamento, incontriamo Aron. Un uomo ormai sconsolato
tenuto in una cella blindata.
Durante un blackout, Aron riesce a trovare un’occasione per evadere e si ritrova in una
realtà completamente diversa da quella che ricordava. Si ritrova catapultato in una società
macabra dove i rischi sono molto più alti di quello che lui aveva immaginato. Attraverso
pericoli e disavventure, Aron si troverà a lottare per la propria libertà e per un futuro in cui
vale la pena credere.

TESTO: “Sono passati mesi da quando ho visto per l’ultima volta le rondini vicino alla
prigione di White Street, certo non mi sarei mai aspettato di finirci dentro, in una cella
blindata lontana da tutti e da tutto.
Ricordo ancora il giorno in cui sono stato portato qui: le facce dei bambini spaventati con i
genitori che coprivano loro gli occhi, i più anziani che sputavano dove passavo, le guardie
che mi spingevano per farmi camminare…”
Con la mente infestata da questi pensieri i miei occhi iniziarono a chiudersi. Il mio sonno non
durò molto perché, dopo quello che mi sembrò qualche istante, delle sirene iniziarono a
suonare.
Mi chiesi cosa stesse succedendo, il suono dell’allarme rimbomba tra le mura di quella cella
e tutte le luci si spensero. “Questa è la mia occasione” pensai.
Tutte le porte si aprirono dato il blackout, io mi mossi con cautela nel buio. Dopo alcuni
passi, mi resi conto di essere da solo in quella prigione. Come poteva essere possibile una
cosa del genere, in una prigione sicura come quella di White Street?
Mi affrettati a trovare l’uscita e a scappare da quel posto. Non potevo crederci, dopo mesi
sentivo di nuovo il controllo della mia vita.
Dopo pochi istanti però, mi guardai intorno e mi resi conto che la città era molto diversa da
quella che ricordavo: l’aria era aspra e il cielo era grigiastro. Le piante erano per lo più morte
e c’era un gran frastuono in lontananza.
Il mondo sembrava quasi stravolto… Camminai per i vicoli di quella strana città, fino ad
arrivare a ciò che sembrava un gruppo di esseri umani, fermi davanti ad un grande edificio.
“Siamo qui per protestare, lasciateci entrare!” urlavano. Mi avvicinai e toccai la spalla ad uno
di loro “…Mi scusi?” chiesi. Lui si girò, e io non potei credere ai miei occhi.
Il suo volto era estremamente pallido, quasi bianco. I suoi occhi erano molteplici e neri come
il catrame. Delle vene nere erano visibili e scendevano dalle cavità degli occhi fino agli
zigomi. Il suo naso era come scavato nella sua faccia e la sua bocca sembrava tenuta alla
sua pelle come se fosse stata cucita. La mia mano cominciò a tremare e io iniziai a correre il
più velocemente possibile. Corsi finché le mie gambe non cedettero, e io crollai a terra.
L’ultima cosa che mi ricordo di quel momento è il mio respiro affannato misto alla vista
offuscata di un fumo indaco.
Quando mi svegliai ero seduto a tavola con un gruppo di creature come quelle che avevo
visto qualche istante prima. “Tieni tesoro, del tè aromatico per la tua testa” una di loro mi
offrì una piccola tazzina con all’interno un liquido maleodorante.
Iniziai a scrutare quel liquido, quando il telefono suonò. Uno di loro si alzò per rispondere. “Il
tè non è di tuo gradimento?” mi chiese una sorridendo e stringendo gli occhi.
In quel momento venni colmato da molta incertezza, non potei fare altro che pensare “E se
la società che mi ricordavo non fosse mai esistita?”.

In preda al panico, mi alzai di colpo e caddi a terra..
“Signor Aron Mesmer?”..
Aprii gli occhi e mi resi conto di essere di nuovo dentro a quella cella che ormai riconosco
troppo facilmente.
La mia mente si riempì di domande “Cos’è successo? come sono finito qui..?” chiesi alla
guardia. “È normale per i nostri prigionieri di soffrire di allucinazioni dopo troppo tempo
passato dentro a queste mura” disse lui.
Iniziò a parlarmi, e per un secondo, mi sembrò di vedere la guardia come una di quelle
creature…
erano davvero solo allucinazioni?


3° posto – “Scientist writers” – ITIS Max Planck (Lancenigo TV)

TITOLO: Bagaglio di ricordi

ABSTRACT: “Perché non vivi con i tuoi genitori biologici?”, “Hai mai visto la tua madre biologica?”, “Quando è stata l’ultima volta?”, “Hai fratelli?”, “Ma sono tuoi fratelli veri o adottivi?”. Queste sono solo alcune delle frequentissime domande che mi vengono poste dai miei interlocutori quando vengono a
sapere della mia adozione. Io li ascolto, rispondo loro con pazienza, sempre con le solite risposte
che però non sono mai esaustive, perché a volte nemmeno io so rispondere a certe domande che
mi vengono poste e altre, come per esempio “Dov’è mia madre?”, preferisco non farmele.
A scuola vado abbastanza bene, ho appena cominciato la prima superiore. I miei compagni mi
stanno simpatici e ho già stretto alcune amicizie. I professori sembrano in gamba e penso che mi
troverò davvero bene. In particolare mi ha colpito la professoressa di arte, sembra che io e lei
abbiamo qualcosa in comune, la carnagione, i lineamenti, e per di più il suo braccialetto color
indaco ha lo stesso ciondolo che c’è sulla mia collana. Naturalmente è probabile che siano solo
coincidenze ma io non sarò soddisfatta finché non saprò la verità e non avrò fugato ogni
incertezza.

TESTO: Quel giorno ero in camera mia e non sapevo cosa fare. Il caldo asfissiante rendeva impossibile
qualsiasi attività diversa dall’ozio. Non ce la facevo più e, nonostante non fossi mai stata una
grande appassionata di libri, decisi di prenderne uno dalla libreria. Stavo cercando di tirarlo giù da
quel ripiano troppo alto per me quando accidentalmente feci cadere il mio vecchio diario. Mi
accovacciai per raccoglierlo e vidi che era aperto nell’esatta facciata del giorno che cambiò la mia
vita. Iniziai a leggere:

Caro diario,
In questi giorni ho iniziato la prima superiore e ho vissuto un sacco di nuove esperienze e ho
conosciuto tantissime nuove persone. I miei compagni sono simpaticissimi e la mia compagna di
banco è fantastica!

Quando si sono presentati i nostri insegnanti e ho conosciuto la mia insegnante di arte ho sentito
una strana sensazione, come se lei potesse essere la mia madre biologica, ma ho sempre avuto
una grande incertezza riguardo questo argomento. Proprio ieri notai che lei portava un braccialetto
color indaco con un ciondolo a forma di quadrifoglio, identico a quello della collana che avevo già
prima di essere adottata. Tra l’altro mi accorsi che il profumo che indossava, delicato ma
aromatico, era simile a quello che avevo da quando ero piccola. Nello stesso pomeriggio, in
camera mia, riflettei su tutte queste coincidenze e decisi di parlarne con mia madre. Andai in
salotto e feci domande riguardanti la mia madre biologica: le chiesi cosa sapesse di lei. Lei mi
rispose che sapeva solo che era del 1981 e che portava con sé un braccialetto avente un ciondolo
a forma di quadrifoglio. Oggi, però, ho preso coraggio e sono andata a parlare con la mia
insegnante di arte. Le ho chiesto informazioni del braccialetto e lei mi ha risposto che era
combinato con la collana della figlia, che per motivi spiacevoli non ha potuto tenere. L’insegnante
si è avvicinata a me e mi ha abbracciata forte: aveva capito che sapevo e che ormai non poteva
più mentirmi. Mi ha parlato dello sgradevole motivo del mio abbandono: riguardava la violenza che
subiva dal suo ex marito, mio padre, e, per paura che le violenze potessero arrivare anche su di
me, mi portò in orfanotrofio.
Sentii lo squillo del mio telefono che mi riportò alla realtà. Presa dalla lettura, decisi di rifiutare la
chiamata e di concludere il mio viaggio di ricordi. Lessi le ultime righe, le più importanti della
pagina:
Domani, io e mia madre biologica, andremo a denunciare le violenze subite e a protestare, insieme
ad altre cittadine, contro la violenza sulle donne.


2° posto – “La 1° declinazione” – Liceo Amedeo di Savoia Duca D’Aosta (Padova)

TITOLO: Nuňa

ABSTRACT: Alma aspetta una chiamata dall’ospedale in cui è ricoverato un suo amico e compagno.
L’attesa è snervante e in poco tempo la sua mente inizierà a vagare cercando di andare oltre
ciò che ancora ignora. Non riuscendo a controllare i suoi pensieri, la sua immaginazione la
spingerà oltre il limite, lasciandola annegare nell’angoscia senza sapere cosa si nasconde
realmente al di là di quel lungo fiume torbido.

TESTO: Quelle soffuse luci gialle, che illuminavano la casa, in passato erano state di conforto ad
Alma, ma nulla poteva tranquillizzare il silenzio assordante di quelle stanze vuote.
Giocherellava con la cordicella del telefono, i suoi occhi fissavano il nulla davanti a sé.
Dietro a quei fili attorcigliati c’era una risposta che avrebbe segnato la sua vita
definitivamente, che forse l’avrebbe privata dell’unica fonte di affetto, di amore e di gioia.
I medici avrebbero dato informazioni entro sera, l’operazione di Marco era iniziata all’alba e
si protraeva da ore. Era così travolta dall’incertezza che aveva perso la percezione dei suoi
pensieri, che scorrevano velocemente nella sua mente.

Si accorse che cominciava lentamente a mancarle il respiro, ansimando velocemente. Tolse le
mani dal cavo e le portò al collo, tastando la collana di perle indaco che la riportavano
all’infanzia, a quei momenti passati con lui.
La stanza sembrava stringersi intorno a lei mentre l’ansia si insinuava nel suo petto come una
morsa implacabile. Le mani tremavano, il respiro diventava affannoso e un senso di
oppressione la avvolgeva come un oscuro mantello. Era come se ogni parte di sé stesse
implodendo, mentre la mente era assalita da pensieri irrazionali e spaventosi. La ragazza si
sentiva completamente sola, isolata in quella tempesta emotiva che nessuno avrebbe potuto
placare. Aveva la sensazione di affogare in un mare di paure e preoccupazioni, incapace di
trovare un rifugio. La sua mente correva senza sosta, generando scenari catastrofici e
alimentando il terrore che la stringeva con sempre maggiore intensità. Il cuore batteva
all’impazzata, sembrava che volesse uscirle dal suo stesso petto. Le lacrime rigavano il suo
viso pallido, mentre la voce le si spezzava in singhiozzi disperati. Si sentiva vulnerabile,
indifesa di fronte a un nemico invisibile che aveva preso il sopravvento su di lei. Ogni parte
del suo essere protestava, implorando un po’ di sollievo. Eppure non sapeva come fermare
quella marea di emozioni travolgenti che minacciavano di sommergerla completamente. Era
prigioniera della sua mente, intrappolata in un vortice di paura e disperazione. Alma si alzò
dal pavimento al quale aveva aderito come per sparire e con difficoltà si guardò allo specchio,
ma non riusciva più a vedere scorrere la vita che gli altri continuavano a percepire. Per lei,
ogni giorno era diventato un labirinto senza via d’uscita, privo di colori e profumi aromatici.
La sua anima era avvolta in un’ombra densa, incapace di percepire la bellezza del mondo che
la circondava. Desiderava un nuovo capitolo, ma non riusciva a scriverlo, aveva provato a
immaginare un epilogo differente, una rinascita fatta di amore e forza. L’inchiostro però non
era bastato e le pagine si avvicinavano al loro epilogo. Il finale era già scritto dall’inizio.


1° posto – “Le ombre” – H-Farm international school (Roncade TV)

TITOLO: Ancora

ABSTRACT: Sei sola in casa. Hai appena finito di mangiare, e corri in bagno.
Una volta che ti sei inginocchiata davanti al gabinetto, ti pugnali la lingua e la gola con le dita, ma non
riesci nel tuo intento.
Prendi il telefono e cerchi in internet come indurre il vomito in fretta. Nonostante ti aspettavi siti di
informazione sulla bulimia o numeri telefonici da chiamare nel caso si fosse affetti da un disordine
alimentare, i risultati rispondono alla tua domanda.
Vai in cucina e riempi un bicchiere di sale, aggiungi dell’acqua e, tornata in bagno, bevi, ma sputi
tutto subito: sembra acqua di mare. Riprovi. Deglutisci e schiacci le dita in gola, ma a parte molta
saliva, non esce nient’altro.
Per la disperazione afferri delle forbici. Stava succedendo ancora, come l’anno prima.
Con le lacrime agli occhi poggi le forbici al polso, e gentilmente schiacci la lama contro la pelle. Non
riesci, è come se ti fossi dimenticata come fare.
Senti la porta d’ingresso aprirsi: tua madre è tornata.
Urli un ciao, non sente la tua disperazione, hai imparato a nascondere la tristezza sotto una voce felice.
Ti saluta. Ti chiede cosa stai facendo.
“Mi sto per docciare”, apri l’acqua ed entri in doccia.

TESTO: Per la prima volta non ti sei sentita in colpa, quindi hai continuato a mangiare. Finito il pasto, però, sei corsa in bagno.
Eri sola a casa, nessuno avrebbe potuto protestare contro ciò che stavi per fare.
Ti sei inginocchiata davanti al gabinetto, aprendolo.
Il primo tentativo l’hai fatto alla “vecchia maniera”, come già sapevi fare.
Le memorie dell’anno precedente ti tempestavano dicendoti di non cadere in quella trappola ancora,
ma tu non le ascoltavi mentre pugnalavi con delle dita piene d’incertezza la lingua e la gola.
Sì, era già successo, ma avevi ormai smesso da un anno. Ti ricordavi ancora come fare, ma non ti
aspettavi che la tua abilità sarebbe stata utile ancora, non lo speravi, ne avevi paura.
Dopo qualche tentativo, a parte molta saliva, non era uscito niente dalla bocca.
Hai preso il telefono, hai cercato in internet come auto indursi il vomito in fretta e possibilmente
senza le dita. Ti sei stupita quando hai visto i siti che rispondevano alla tua domanda, pensavi che
sarebbero usciti risultati che spiegavano cos’è la bulimia, o numeri telefonici da chiamare nel caso
avessi avuto un disordine alimentare, invece ne hai aperto uno che spiegava come vomitare in fretta.
Avevi già la borraccia, color indaco, ma ti mancava il resto. Sei corsa in cucina, hai preso un bicchiere
e l’hai riempito di sale, per poi, in bagno, riempirlo di acqua.
Il sito diceva di bere più acqua salata possibile, poi darsi un aiuto con le dita e a quel punto il vomito
sarebbe uscito senza problemi.
Hai bevuto un sorso aromatico, aroma di mare, dal bicchiere, poi hai iniziato a sputacchiare. Acqua
salata, acqua di mare.
Ti sei riempita la bocca, ma hai aspettato un po’ prima di deglutire, poi, in fretta, hai mandato giù, hai
schiacciato le dita in gola. Un conato, un altro, poi un rigurgito e moltissima saliva, ma nient’altro.
Dopo molti altri tentativi falliti hai poggiato il bicchiere.
Piangevi, non ancora, non ancora, pensavi, non volevi ricominciare tutto daccapo.
Non ci eri riuscita però.
Non ci eri riuscita e la disperazione ti ha fatto afferrare un paio di forbici, come l’anno scorso. Le hai
poggiate sul braccio, ma non sapevi più come fare. L’avevi dimenticato. Dopo qualche tentativo anche
questo non ti era riuscito quindi hai smesso.
Hai guardato quella piccolissima cicatrice sul polso. Era minuscola, quasi invisibile, non eri mai
andata troppo in profondità, però era lì. Non ancora, non ancora, hai urlato terrorizzata, con le lacrime
che pesanti rotolavano giù dalle guance, come sassi in una valanga.
L’arrivo di tua madre ha posto fine a tutto. L’hai sentita entrare in casa. Tra le lacrime hai urlato un
ciao, non si era accorta che piangevi, ormai sapevi usare una voce felice anche quando le lacrime ti
soffocavano, anche se avevi una forbice che non sapevi più usare in mano, anche se il gabinetto era
pieno di acqua salata e saliva.
“Dove sei?” ha urlato da in fondo alle scale.
“Stavo per docciarmi” hai risposto.
Quindi sei entrata in doccia e hai aperto l’acqua.

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