Francesca Marciano è una scrittrice attenta. Lo è soprattutto riguardo al suo lavoro e ciò che scrive è, oltre che finzione, riflessione sulla parola, sul linguaggio, sui tranelli che il linguaggio tende, sull’importanza che riveste in una vita la propria lingua madre e il linguaggio che si parla: che non sempre coincidono.
E se il linguaggio è in maniera forte comunicazione, relazione, scambio, la raccolta di racconti che Francesca Marciano ci permette di leggere è segnata da quello scambio, da quella comunicazione che le persone hanno fra loro quando si spostano.
I protagonisti delle storie, quasi sempre donne, sono colti in momenti nei quali vivono in larga misura eccentrici rispetto al fuoco delle loro vite, temporaneamente in alcuni casi, definitivamente in altri. Questa è tuttavia l’idea di base che unisce le storie e che Francesca afferma in alcuni passaggi: condursi fuori dalla propria esistenza è assieme tradursi e tradirsi; ed è grazie a questo tradimento e allo straniamento che ne consegue che ci è permessa la comprensione (di mode, pose, stereotipi, meccanismi). Troppo spesso la vita è un muoversi ripetitivo nel binario della routine e solo un evento improvviso ed imprevisto permette di uscire dal solco, di sterzare, di ricominciare:
”La sua nuova vita la stava aspettando dietro l’angolo. Bastava solo saltarci dentro. Non c’era nulla da temere. Dopotutto i grandi cambiamenti arrivano così, senza preavviso, come le alluvioni o gli incendi”.
L’incontro con l’altro e la messa in discussione delle parole con le quali comunichiamo sono in questi racconti l’evento che squilibra e decentra, permettendo di riassestare i confini della propria esistenza, indipendentemente dall’isola che abitiamo, dall’isola che siamo.
Alberto Trentin